La cartella esattoriale
deve sempre essere motivata in modo che il contribuente conosca specificamente
le ragioni del recupero e le possa tempestivamente impugnare dinanzi le
competenti Commissioni Tributarie. Lo ha deciso la Cassazione Civile Sezione
Tributaria con l’ordinanza n. 8934 del 17.04.2014, che ha fatto proprio il
principio giuridico sancito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 229/1999),
secondo la quale l’obbligo
di una congrua, sufficiente ed intelligibile motivazione non può essere
riservato ai soli avvisi di accertamento della tassa, ma va necessariamente
esteso anche alle cartelle esattoriali.
mercoledì 30 luglio 2014
venerdì 25 luglio 2014
Abusi sessuali in famiglia: il genitore che non interviene risponde di concorso
Il genitore che,
essendo a conoscenza (o potendo conoscere) degli abusi perpetrati dal proprio coniuge
in danno dei figli o di uno di essi, non interviene a scongiurare il
verificarsi degli episodi illeciti o quantomeno ad evitare la loro
perpetuazione, pur avendone la concreta possibilità, risponde di concorso
omissivo in violenza sessuale ex artt. 40 comma 2 e 609 bis c.p. Lo ha
stabilito la Cassazione Penale con sentenza n. 15109 del 02.04.2014; nella
fattispecie concreta è stata condannata una madre che non ha impedito al marito
di compiere atti di violenza sessuale ai danni del loro figlio.
lunedì 21 luglio 2014
Le donne incinte possono conservare il loro status di lavoratore
Una
donna che smetta di lavorare o di cercare un impiego a causa delle limitazioni
fisiche collegate alle ultime fasi della gravidanza e al periodo successivo al
parto può conservare lo status di ''lavoratore'' se riprende il lavoro o trova
un altro impiego entro un ragionevole periodo di tempo dopo la nascita del
figlio.
Il
mantenimento di questo status consentirà all'interessata di poter usufruire
di tutte le agevolazioni, le indennità, i sussidi e gli aiuti riservati ai lavoratori. (Corte di
Giustizia Europea, sentenza n. C-507/12 del 19.06.2014)
venerdì 18 luglio 2014
E' illegale la selezione fatta all'ingresso di un locale per abbigliamento "non adeguato"
L’art.
187 del T.U.L.P.S. prevede: “Salvo quanto dispongono gli artt. 689 e 691
del codice penale, gli
esercenti non possono, senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del
proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo”.
Questo
significa che il personale addetto alla sicurezza di un locale, sia esso pub,
discoteca o altro che si trovi all’ingresso, non può impedire alla clientela di
accedere al locale per ragioni connesse all’abbigliamento o in generale all’aspetto
fisico ed esteriore del cliente.
Gli
unici motivi per cui può essere impedito l’ingresso sono il raggiunto limite di
capienza del locale, l’evidente stato d’ebbrezza del cliente ed altre ipotesi
in cui l’accesso di uno o più clienti potrebbe compromettere la sicurezza all’interno
del locale (si fa l’esempio del cliente che pretenda di entrare nel locale con bastoni
o altro del genere).
La
sanzione per non aver consentito l’ingresso al cliente in assenza di un
giustificato motivo è la sospensione della licenza e, quindi, la chiusura temporanea
del locale. In caso di recidiva la licenza viene ritirata.
Usare un programma di file sharing non costituisce necessariamente reato
Per
la Corte di Cassazione l'utilizzo di un programma di condivisione di file (nello
specifico Emule) non comporta necessariamente la sussistenza del dolo richiesto
per la consumazione del reato di diffusione e condivisione illecita di file.
La
Corte ha ritenuto, al riguardo, che debba essere valutata in concreto la
sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, posto che il dolo necessario ad
integrare il reato in esame implica la volontà consapevole dell’interessato di procurarsi
i file on line allo scopo di divulgazione o diffusione del materiale. In
particolare, questa volontà non può essere ricavata dal mero utilizzo del
programma di file sharing o dal mero scaricamento dei file nel proprio computer.
(Cassazione Civile n. 25711 del 16.06.2014)
lunedì 14 luglio 2014
Screzi reciproci tra coniugi? Escluso il mobbing e l'addebito della separazione
Deve escludersi che la
nozione di mobbing possa avere una qualche rilevanza nell’ambito dei rapporti
famigliari, nei quale vige il principio di uguaglianza morale e giuridica tra i
coniugi; infatti, a differenza di quanto avveniva in passato, l'unità familiare
non è più fondata sull'autorità maritale, ma è affidata all'accordo dei coniugi,
che è il fulcro della costituzione e conservazione del rapporto matrimoniale. Dunque,
gli screzi tra i coniugi non possono configurare il reato di mobbing e, se gli
stessi si manifestano in procinto di separarsi e sono reciproci, non possono
costituire presupposto per la pronuncia dell’addebito della separazione.
(Cassazione Civile n. 13983 del 19.06.2014)