Il
costante orientamento espresso dalla Corte di Cassazione ritiene che nelle
locazioni adibite ad uso diverso dall’abitativo (capannoni, negozi, ecc.) ogni
pattuizione avente ad oggetto non già l’aggiornamento del canone mensile in
ragione delle variazioni ISTAT, ma veri e propri aumenti del canone, deve
ritenersi nulla ai sensi dell’art. 79 comma 1 Legge 392/1978, in quanto diretta
ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello
legislativamente previsto.
Il
secondo comma della citata norma consente al conduttore di agire in giudizio
contro il locatore per ottenere la restituzione dei canoni versati in eccedenza
in virtù di una pattuizione come sopra individuata, anche successivamente alla
riconsegna dell’immobile. Secondo la Corte di Cassazione l’accettazione da
parte del conduttore di aumenti del canone non dovuti non esclude il suo
diritto alla restituzione di ciò che ha pagato in più.
Pertanto,
deve considerarsi affetta da nullità ogni clausola volta ad attribuire al
proprietario aumenti del canone in misura maggiore all’aumento ISTAT. A riprova
di quanto sopra, il cosiddetto “canone a scaletta”, ossia determinato in misura
crescente per frazioni di tempo nell’arco del rapporto, viene ammesso e
ritenuto legittimo, purché sia ancorato ad elementi predeterminati, al fine di
evitare che la suddetta clausola finisca per aggirare la norma imperativa di
cui all’art. 32 legge 392/1978. (Cassazione Civile n. 8669 del 04.04.2017)